Il mio Worldschooling questa settimana mi ha portato in Giappone, un paese che non vedo l’ora di visitare ovviamente per imparare, perché questo è da sempre il driver che mi porta a viaggiare con mio figlio, anche ora che posso farlo solo virtualmente. Desidero imparare l’arte del Kintsugi, un’arte che mi ha portato a questa riflessione.
Tempo di Corona Virus. Tutti reclusi in casa, senza parrucchiere, senza trucco, senza la voglia di toglierci la tuta da ginnastica ed improvvisamente anche per i più amati degli Influencer è scattata la caccia al contenuto. Quando la forma perde importanza rimane la sostanza e chi ha qualcosa di interessante da dire continuato a farlo, chi non aveva più brand da pubblicizzare attraverso foto trendy improvvisamente si è calato nel silenzio di Dinourt (l’abate che scrisse il bellissimo libro l’arte di tacere), e meno male, mi viene da aggiungere.
Realtà aumentata e autenticità aumentata
Le parole si sono preso il riscatto rispetto alle immagini come se in un momento in cui un virus ha messo in discussione tutto, vi fosse quasi la necessità di avere qualcosa di vero e concreto e dove in mezzo a tutte le sassate di fake news il desiderio di autenticità ci abbia fatto fare un passo indietro. Il mondo che fino a quel momento avevamo costruito è crollato e noi insieme a lui e noi insieme ad un nuovo mondo siamo dovuti riemergere per quelli che siamo, con la ricrescita, con le unghie senza gel e con il viso struccato. L’autenticità si è presa a mio avviso la sua rivincita e i social si sono popolati non più solo di foto delle nostre vacanze ma anche di webinar e di messaggi concreti.
Kintsugi e la bellezza dell’imperfezione
Abbiamo forse scoperto che questa nuova autenticità può essere il nostro Kintsugi: l’arte giapponese di rimettere insieme i pezzi di una tazza di coccio con l’oro. Un’arte antica, con un significato che va ben al di là della mera tecnica, del gesto manuale e che viene appunto dalla composizione di due parole: kin (oro) e tsugi (riunire, riparare, ricongiungere). Oggi quest’arte viene praticata da molti artigiani in Giappone e per riparare una tazza possono anche impiegare un mese ma quello che mi colpisce, è la possibile analogia con la nostra autenticità. I colpi che la vita ci ha inflitto sono diventati parte di noi e hanno lasciato sicuramente cicatrici, i nostri errori hanno lasciato traccia. Bene, direbbe il Kintsugi. A volte hanno lasciato addirittura dei solchi, meglio: fanno parte della nostra autenticità e quelle stesse cicatrici, quegli errori, quei difetti, ci fanno toccare con mano quanto la nostra vita possa essere preziosa seppur imperfetta e sono proprio quelle crepe a rendere la nostra autenticità unica ed irripetibile. Se una tazza cade e si rompe, se cade in mille pezzi, non viene buttata via, viene ricomposta, ecco che allo stesso modo noi potremmo ricomporre in questa realtà aumentata una autenticità aumentata, non un avatar ma noi stessi per come siamo. Questo renderà noi, la nostra organizzazione, il nostro brand unico, vero e soprattutto credibile.
Anche prima a dir la verità sapevamo in qualche modo che l’autenticità paga ma forse pensavamo che chi se la può permettere sono solo i personaggi perfetti. Il Kintsugi ci insegna che nell’imperfezione sta l’unicità e la bellezza.
Nella realtà aumentata il rischio di perdere credibilità è aumentato
Recuperando la definizione dell’Accademia della crusca a ben vedere possiamo comprendere che al contrario, il non essere autentici, a maggior ragione in una realtà aumentata, significa rischiare di essere non solo venire smascherati ma di perdere autorevolezza e valore. L’autenticità aumentata implica un ripensamento anche del concetto di perfezione in quanto la facciata di alias e vite perfette, come quella di slogan green e digital, potrebbe crollare ed essere smascherata dallo stesso mezzo che aveva creato quella perfezione.
Internet non è un non-luogo, anzi: è diventato per molti quasi l’unico luogo dove studiare, lavorare e trovarsi
Questo non vuol dire che ora io ti stia sollecitando a pubblicare una foto con le borse sotto gli occhi. Quando esci per andare in ufficio immagino ti darai una pettinata ed ti metterai un filo di trucco, no? Andare sui social è un po’ la stessa cosa: vai in un luogo, entri in una stanza. Internet non è un non-luogo come molti sono portati a credere, internet come i social sono un luogo, una stanza, come quelle in cui vieni invitato quando fai una zoom di lavoro, una stanza altrettanto vera seppur virtuale, quindi vestiti, truccati se ti va e poi vacci ma non dimenticare che stai entrando in una realtà aumentata con la tua identità aumentata ed una autenticità che richiede a questo punto di essere aumentata.
Realtà aumentata, identità aumentata e autenticità aumentata: un patto continuo
Viviamo nel paradosso di una realtà mediata che però ha bisogno di ritrovarsi autentica e anche le relazioni che costruiamo su internet o ci ritroviamo a dover mantenere sul web non si sottragono al bisogno di fiducia. Il mondo digitale ha aumentato la nostra realtà, essa è diventata potenzialmente immensa e come tale in questa realtà aumentata anche la nostra autenticità è aumentata. Il nostro valore e quello che siamo entra in questa dimensione, si amplifica e richiede pertanto in maniera amplificata di essere vero ed autentico seppur mediato, richiede un patto continuo tra chi sono io e quello che gli altri si aspettano da me.
Second life non esiste più: hai solo una one-life. Fluida tra online e offline
Sui social e su internet noi siamo la stessa persona, non possiamo pensare di diventare qualcun altro perché questo potrebbe renderci vittima delle nostre stesse finzioni e l’agnello sacrificale sarebbe la nostra credibilità. Il Kintsugi insegna a non mascherare i difetti ma a coprirli di oro affinché diventino un qualcosa di bello in quanto unico. Allo stesso modo attraverso internet, noi possiamo aumentare la nostra autenticità e così la nostra credibilità ed il primo patto di autenticità è con noi stessi.